Un tempo, per definire le inutili pastoie burocratiche, era stata coniata una sigla, Ucas, Ufficio complicazione affari semplici.
Oggi non avrebbe più alcun senso perché ogni aspetto della vita quotidiana si è trasformato in uno scontro con gli Ucas, tanto da sembrar ormai del tutto normale.
Vai in banca e, per qualsiasi operazione che vada al di là del saluto al cassiere, ti rifilano un malloppo da leggere e compilare.
“Per la tua sicurezza”, assicurano, ben sapendo che il cliente non leggerà mai le pagine con postille e richiami a leggi sconosciute. Ovunque tu vada ti ritrovi a compilare il modulo per la privacy, per qualsiasi richiesta devi fornire carta d’identità e codice fiscale.
Il Grande Fratello deve sapere tutto, conoscere tutto. Dove vai, con chi sei, cosa leggi, cosa compri. E sino a qui la rassegnazione ha ormai coinvolto quasi tutti.
Ma non si capisce perché, per farsi controllare, si debbano anche compilare pacchi di documenti e moduli. Se la metà del tempo sprecato per assurdi adempimenti imposti dalle norme per la sicurezza sul lavoro venisse impiegato per ridurre concretamente i rischi, ci sarebbero meno morti e costi minori.
Non va meglio all’Università. Troppo facile lasciare che gli studenti scegliessero liberamente una facoltà dove, successivamente, i somari venivano bocciati. No, si sono dovuti imporre i test di ingresso. In modo – spiegavano – che il numero dei laureati in ogni disciplina sia congruo con i posti di lavoro a disposizione.
Giusto, in teoria. Poi si è scoperto che i laureati in Medicina non sono sufficienti per garantire il ricambio di chi andrà in pensione.
Si corre ai ripari aumentando il numero di posti a disposizione? No, l’Ucas è in agguato. Dunque si studia da quali Paesi sarà più conveniente importare i medici del futuro.
Che la programmazione universitaria sia una buffonata è dimostrato dalla bassa percentuale di giovani laureati che trovano un lavoro legato al percorso di studi.
Forse bisognerebbe rivedere il sistema, ma l’Ucas non lo permette. Fate domanda con tutti i documenti inutili ma indispensabili, cercate l’ufficio giusto a cui lasciarla e poi aspettate: forse i vostri nipoti riceveranno una risposta sui cambiamenti proposti.
Però più si complicano le procedure e più si creano posti di lavoro inutili. E se fossero solo inutili andrebbe ancora bene.
Il problema è che l’Ucas non si limita a rappresentare un costo per un personale che non serve a nulla ma rappresenta una zavorra per il sistema economico e per la vita quotidiana di chi è costretto a perdere tempo e denaro per adempiere a tutti gli obblighi e le prescrizioni.
Ucas, la zavorra per l’economia e per la vita quotidiana
Un tempo, per definire le inutili pastoie burocratiche, era stata coniata una sigla, Ucas, Ufficio complicazione affari semplici.
Oggi non avrebbe più alcun senso perché ogni aspetto della vita quotidiana si è trasformato in uno scontro con gli Ucas, tanto da sembrar ormai del tutto normale.
Vai in banca e, per qualsiasi operazione che vada al di là del saluto al cassiere, ti rifilano un malloppo da leggere e compilare.
“Per la tua sicurezza”, assicurano, ben sapendo che il cliente non leggerà mai le pagine con postille e richiami a leggi sconosciute. Ovunque tu vada ti ritrovi a compilare il modulo per la privacy, per qualsiasi richiesta devi fornire carta d’identità e codice fiscale.
Il Grande Fratello deve sapere tutto, conoscere tutto. Dove vai, con chi sei, cosa leggi, cosa compri. E sino a qui la rassegnazione ha ormai coinvolto quasi tutti.
Ma non si capisce perché, per farsi controllare, si debbano anche compilare pacchi di documenti e moduli. Se la metà del tempo sprecato per assurdi adempimenti imposti dalle norme per la sicurezza sul lavoro venisse impiegato per ridurre concretamente i rischi, ci sarebbero meno morti e costi minori.
Non va meglio all’Università. Troppo facile lasciare che gli studenti scegliessero liberamente una facoltà dove, successivamente, i somari venivano bocciati. No, si sono dovuti imporre i test di ingresso. In modo – spiegavano – che il numero dei laureati in ogni disciplina sia congruo con i posti di lavoro a disposizione.
Giusto, in teoria. Poi si è scoperto che i laureati in Medicina non sono sufficienti per garantire il ricambio di chi andrà in pensione.
Si corre ai ripari aumentando il numero di posti a disposizione? No, l’Ucas è in agguato. Dunque si studia da quali Paesi sarà più conveniente importare i medici del futuro.
Che la programmazione universitaria sia una buffonata è dimostrato dalla bassa percentuale di giovani laureati che trovano un lavoro legato al percorso di studi.
Forse bisognerebbe rivedere il sistema, ma l’Ucas non lo permette. Fate domanda con tutti i documenti inutili ma indispensabili, cercate l’ufficio giusto a cui lasciarla e poi aspettate: forse i vostri nipoti riceveranno una risposta sui cambiamenti proposti.
Però più si complicano le procedure e più si creano posti di lavoro inutili. E se fossero solo inutili andrebbe ancora bene.
Il problema è che l’Ucas non si limita a rappresentare un costo per un personale che non serve a nulla ma rappresenta una zavorra per il sistema economico e per la vita quotidiana di chi è costretto a perdere tempo e denaro per adempiere a tutti gli obblighi e le prescrizioni.
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Augusto Grandi
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