Essere come la moglie di Cesare
è un’espressione ormai desueta in Italia. Sia perché la cultura classica è in declino e quando si parla di Cesare qualcuno pensa a Cremonini; sia perché l’Italia dei buonisti preferisce l’evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra” e, dunque, l’idea di essere al di sopra di ogni sospetto non fa parte del bagaglio individuale. Ma anche senza essere perfetti ed inattaccabili, ci sono scivolate davvero incomprensibili ed inaccettabili.
Come quella del periodico Rolling Stone.
La rivista di musica e non solo ha, legittimamente, preparato un manifesto contro il ministro Matteo Salvini. E, altrettanto legittimamente, lo ha fatto firmare a cantanti, scrittori, attori. Firme non di primissimo piano, al di là di dei soliti iper schierati. Così, per dare un briciolo di peso artistico e intellettuale alla lista dei duri e puri, Rolling Stone ha inserito anche la firma di Enrico Mentana. Peccato che il direttore avesse rifiutato di firmare il manifesto.
Ma ad assestare un colpo ancor più pesante all’iniziativa è stata Selvaggia Lucarelli che il periodico lo ha diretto per pochi mesi. Dunque conosce la realtà interna e, secondo le sue dichiarazioni, non è una bella realtà. Né libera, né aperta, né rispettosa dei diritti di chi ci lavora. Insomma, un colossale autogol, quello di Rolling Stone. Non a caso le reazioni di Salvini sono mancate, proprio per l’irrilevanza dell’attacco.
Tra l’altro la polemica rischia di aprire il vaso di Pandora sulla situazione nelle redazioni e nei giornali. Perché Lucarelli accusa Rolling Stone di sfruttare i collaboratori ma la situazione è molto diffusa.
In un recente incontro di aggiornamento dell’Ordine dei giornalisti di Roma si è parlato dell’obbligo dei responsabili delle varie testate di controllare che i collaboratori forniscano indicazioni sulle fonti e gli approfondimenti delle notizie. Sacrosanto, in teoria.
Ma la pratica è un’altra cosa, come ha fatto rilevare una giornalista: “E noi dovremmo pretendere fonti e approfondimenti da collaboratori che, per quell’articolo, prenderanno 5 euro tra qualche mese e che, per sopravvivere, hanno scritto il pezzo mentre aggiornavano due siti internet?”.
Ovviamente non ci sono state risposte.
Rolling Stone, manifesto del cattivo giornalismo
è un’espressione ormai desueta in Italia. Sia perché la cultura classica è in declino e quando si parla di Cesare qualcuno pensa a Cremonini; sia perché l’Italia dei buonisti preferisce l’evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra” e, dunque, l’idea di essere al di sopra di ogni sospetto non fa parte del bagaglio individuale. Ma anche senza essere perfetti ed inattaccabili, ci sono scivolate davvero incomprensibili ed inaccettabili.
Come quella del periodico Rolling Stone.
La rivista di musica e non solo ha, legittimamente, preparato un manifesto contro il ministro Matteo Salvini. E, altrettanto legittimamente, lo ha fatto firmare a cantanti, scrittori, attori. Firme non di primissimo piano, al di là di dei soliti iper schierati. Così, per dare un briciolo di peso artistico e intellettuale alla lista dei duri e puri, Rolling Stone ha inserito anche la firma di Enrico Mentana. Peccato che il direttore avesse rifiutato di firmare il manifesto.
Ma ad assestare un colpo ancor più pesante all’iniziativa è stata Selvaggia Lucarelli che il periodico lo ha diretto per pochi mesi. Dunque conosce la realtà interna e, secondo le sue dichiarazioni, non è una bella realtà. Né libera, né aperta, né rispettosa dei diritti di chi ci lavora. Insomma, un colossale autogol, quello di Rolling Stone. Non a caso le reazioni di Salvini sono mancate, proprio per l’irrilevanza dell’attacco.
Tra l’altro la polemica rischia di aprire il vaso di Pandora sulla situazione nelle redazioni e nei giornali. Perché Lucarelli accusa Rolling Stone di sfruttare i collaboratori ma la situazione è molto diffusa.
In un recente incontro di aggiornamento dell’Ordine dei giornalisti di Roma si è parlato dell’obbligo dei responsabili delle varie testate di controllare che i collaboratori forniscano indicazioni sulle fonti e gli approfondimenti delle notizie. Sacrosanto, in teoria.
Ma la pratica è un’altra cosa, come ha fatto rilevare una giornalista: “E noi dovremmo pretendere fonti e approfondimenti da collaboratori che, per quell’articolo, prenderanno 5 euro tra qualche mese e che, per sopravvivere, hanno scritto il pezzo mentre aggiornavano due siti internet?”.
Ovviamente non ci sono state risposte.
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Augusto Grandi
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