Dai presidenti delle associazioni di categoria sarebbe lecito attendersi qualche capacità di analisi che vada al di là delle espressioni di stupore di fronte a comportamenti assurdi, magari anche demenziali o criminali, ma assolutamente in linea con tutte le altre scelte precedenti.
Invece i vertici di Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Federalimentari hanno espresso tutta la loro meraviglia e indignazione di fronte alla guerra scatenata dall’Onu contro il cibo italiano ed a favore del cibo spazzatura delle multinazionali americane.
Se davvero non avevano previsto una simile deriva dell’Onu, dovrebbero avere il buongusto delle dimissioni. Ma ovviamente non lo faranno.
In fondo l’Onu non ha fatto altro che procedere sulla strada dell’omologazione, intrapresa da tempo e pure con il plauso di chi ora si indigna perché viene colpito nei suoi interessi privati.
Certo, l’idea che per l’Onu il grana, il vino, l’olio siano alimenti pericolosi per la salute, proprio come le sigarette, dimostra la totale assurdità di mantenere in vita, strapagandolo, un organismo internazionale del tutto inutile ed ora anche nocivo.
Perché l’olio extravergine di oliva è pericoloso mentre le bibite gassate delle multinazionali americane, a base di ingredienti misteriosi non creano problemi anche se sono perfetti per scrostare i gabinetti.
Ma chi protesta ora era magari lo stesso che voleva gli Ogm per produrre lo stesso mais in ogni parte del mondo, lo stesso grano, lo stesso pomodoro. Un gusto unico per tutti i consumatori globali.
Magari era lo stesso che voleva il marchio del Made In Italy per prodotti coltivati altrove e imbottigliati o impacchettati in Italia.
Era lo stesso che voleva schiavi in arrivo da ogni parte del mondo per poter abbassare le retribuzioni rispetto a quelle richieste dagli italiani.
Però il mondo globale, uniforme, senza sfumature, senza tradizioni nè radici, avrebbe dovuto entusiasmarsi per l’olio tunisino spacciato per italiano, per il pecorino sardo prodotto in Ungheria, per il burro di malga ottenuto con latte olandese, per il vino Doc che inonda il mondo pur provenendo, in teoria, da pochi ettari.
Sino a quando si barava sulle etichette andava tutto bene. Ora che i sostenitori ufficiali dell’uomo a una dimensione attaccano, sul piano della salute, le tipicità italiane è un po’ tardi per correre ai ripari.
L’uomo omologato e standardizzato deve mangiare cavallette e bere schifezze gassate.
Il cibo è cultura, dunque bisogna distruggere il cibo tradizionale per eliminare ogni differenza culturale. Elementare, ma i vertici delle associazioni agricole e agroindustriali non se n’erano accorti. O facevano finta?
L’Onu contro il cibo italiano per eliminare ogni cultura tradizionale
Dai presidenti delle associazioni di categoria sarebbe lecito attendersi qualche capacità di analisi che vada al di là delle espressioni di stupore di fronte a comportamenti assurdi, magari anche demenziali o criminali, ma assolutamente in linea con tutte le altre scelte precedenti.
Invece i vertici di Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Federalimentari hanno espresso tutta la loro meraviglia e indignazione di fronte alla guerra scatenata dall’Onu contro il cibo italiano ed a favore del cibo spazzatura delle multinazionali americane.
Se davvero non avevano previsto una simile deriva dell’Onu, dovrebbero avere il buongusto delle dimissioni. Ma ovviamente non lo faranno.
In fondo l’Onu non ha fatto altro che procedere sulla strada dell’omologazione, intrapresa da tempo e pure con il plauso di chi ora si indigna perché viene colpito nei suoi interessi privati.
Certo, l’idea che per l’Onu il grana, il vino, l’olio siano alimenti pericolosi per la salute, proprio come le sigarette, dimostra la totale assurdità di mantenere in vita, strapagandolo, un organismo internazionale del tutto inutile ed ora anche nocivo.
Perché l’olio extravergine di oliva è pericoloso mentre le bibite gassate delle multinazionali americane, a base di ingredienti misteriosi non creano problemi anche se sono perfetti per scrostare i gabinetti.
Ma chi protesta ora era magari lo stesso che voleva gli Ogm per produrre lo stesso mais in ogni parte del mondo, lo stesso grano, lo stesso pomodoro. Un gusto unico per tutti i consumatori globali.
Magari era lo stesso che voleva il marchio del Made In Italy per prodotti coltivati altrove e imbottigliati o impacchettati in Italia.
Era lo stesso che voleva schiavi in arrivo da ogni parte del mondo per poter abbassare le retribuzioni rispetto a quelle richieste dagli italiani.
Però il mondo globale, uniforme, senza sfumature, senza tradizioni nè radici, avrebbe dovuto entusiasmarsi per l’olio tunisino spacciato per italiano, per il pecorino sardo prodotto in Ungheria, per il burro di malga ottenuto con latte olandese, per il vino Doc che inonda il mondo pur provenendo, in teoria, da pochi ettari.
Sino a quando si barava sulle etichette andava tutto bene. Ora che i sostenitori ufficiali dell’uomo a una dimensione attaccano, sul piano della salute, le tipicità italiane è un po’ tardi per correre ai ripari.
L’uomo omologato e standardizzato deve mangiare cavallette e bere schifezze gassate.
Il cibo è cultura, dunque bisogna distruggere il cibo tradizionale per eliminare ogni differenza culturale. Elementare, ma i vertici delle associazioni agricole e agroindustriali non se n’erano accorti. O facevano finta?
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Augusto Grandi
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