Un disastro annunciato, quello di Genova. Una strage che parte da lontano e che, soprattutto, rischia di andare lontano. Intervistato dal Tg3 un docente universitario del Politecnico spiega che sono tantissimi i viadotti “a fine corsa”.
In Italia ci siamo illusi che i ponti potessero durare per l’eternità, come quelli romani o anche quelli rinascimentali.
Ma questi sono ponti e viadotti dell’epoca del boom economico.
L’architetto Paolo Camaiora denuncia che gli incroci di interessi tra potere democristiano e cupola mafiosa avevano portato a costruzioni povere, poverissime di ferro. Non nel caso genovese, ma ad esempio nell’area della Cisa.
Ma andrebbero anche riviste le responsabilità politiche ed economiche di chi, nel dopoguerra, ha smantellato la rete ferroviaria italiana – che negli anni tra le due guerre era diventata una delle migliori e più capillari del mondo – per favorire lo sviluppo esclusivo del trasporto su gomma.
Infrastrutture costruite male e costate troppo. E poi il grande business delle autostrade affidate in concessione a chi, evidentemente, ha lesinato sulla manutenzione.
Dove sono finiti gli ingenti guadagni di chi gestisce la rete autostradale italiana? Probabilmente in Argentina per l’acquisto di immensi territori, come denunciato più volte su Electomag da Mauro Margoni.
Oppure per campagne pubblicitarie politicamente corrette. Forse sarebbe stato più corretto investire per la sicurezza degli automobilisti vessati da tariffe assurde per un servizio di basso livello.
Ora ovviamente ci si dovrà occupare delle vittime, senza speranza che i responsabili paghino per ciò che hanno provocato. Ma subito dopo occorrerà valutare lo stato reale dei viadotti e delle infrastrutture.
Ponti che crollano non sono più una novità e neppure una rarità, in Italia. A Nord come a Sud.
Nessuno paga mai per i disastri, perché la società civile responsabile di costruzioni insicure è sempre pronta ad addossare le responsabilità alla politica pur di difendere imprese al limite, e oltre il limite, della criminalità.
Intoccabili, qualunque cosa succeda, qualunque sia il bilancio delle vittime.
Lorsignori rispondono agli azionisti, non alle vittime. E gli azionisti vogliono guadagnare, anche se questo significa utilizzare poco ferro e fare manutenzioni di comodo.
Genova, disastro figlio di decenni di classi dirigenti impunite
Un disastro annunciato, quello di Genova. Una strage che parte da lontano e che, soprattutto, rischia di andare lontano. Intervistato dal Tg3 un docente universitario del Politecnico spiega che sono tantissimi i viadotti “a fine corsa”.
In Italia ci siamo illusi che i ponti potessero durare per l’eternità, come quelli romani o anche quelli rinascimentali.
Ma questi sono ponti e viadotti dell’epoca del boom economico.
L’architetto Paolo Camaiora denuncia che gli incroci di interessi tra potere democristiano e cupola mafiosa avevano portato a costruzioni povere, poverissime di ferro. Non nel caso genovese, ma ad esempio nell’area della Cisa.
Ma andrebbero anche riviste le responsabilità politiche ed economiche di chi, nel dopoguerra, ha smantellato la rete ferroviaria italiana – che negli anni tra le due guerre era diventata una delle migliori e più capillari del mondo – per favorire lo sviluppo esclusivo del trasporto su gomma.
Infrastrutture costruite male e costate troppo. E poi il grande business delle autostrade affidate in concessione a chi, evidentemente, ha lesinato sulla manutenzione.
Dove sono finiti gli ingenti guadagni di chi gestisce la rete autostradale italiana? Probabilmente in Argentina per l’acquisto di immensi territori, come denunciato più volte su Electomag da Mauro Margoni.
Oppure per campagne pubblicitarie politicamente corrette. Forse sarebbe stato più corretto investire per la sicurezza degli automobilisti vessati da tariffe assurde per un servizio di basso livello.
Ora ovviamente ci si dovrà occupare delle vittime, senza speranza che i responsabili paghino per ciò che hanno provocato. Ma subito dopo occorrerà valutare lo stato reale dei viadotti e delle infrastrutture.
Ponti che crollano non sono più una novità e neppure una rarità, in Italia. A Nord come a Sud.
Nessuno paga mai per i disastri, perché la società civile responsabile di costruzioni insicure è sempre pronta ad addossare le responsabilità alla politica pur di difendere imprese al limite, e oltre il limite, della criminalità.
Intoccabili, qualunque cosa succeda, qualunque sia il bilancio delle vittime.
Lorsignori rispondono agli azionisti, non alle vittime. E gli azionisti vogliono guadagnare, anche se questo significa utilizzare poco ferro e fare manutenzioni di comodo.
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Augusto Grandi
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