Carlo Cottarelli, l’uomo scelto da Sergio Mattarella per tranquillizzare i mercati, veri padroni di un ex popolo ed ex nazione, deve avere un sosia e pure un omonimo. Perché tal Cottarelli Carlo era intervenuto pochi mesi orsono ad un convegno organizzato dalla leghista Gianna Gancia e, in quella occasione, il Carlo Cottarelli bis non era parso per nulla contrario alle proposte del centro destra a proposito di flat tax.
Probabilmente, però, Mattarella non lo sapeva o, comunque, non lo aveva capito.
Il caos cosmico (e comico, se visto da lontano) provocato dal presidente non dovrebbe portare alla messa in stato d’accusa per tradimento ma, più semplicemente, alle dimissioni per manifesta incapacità o almeno inadeguatezza.
Invece si è preferito sguinzagliare uomini dello Stato, pagati dai cittadini, per valutare se qualcuno avesse avuto l’ardire di offendere il sant’uomo del Quirinale.
Nel frattempo in Italia sbarcavano migliaia di clandestini, ma l’emergenza era l’offensiva sui social.
Paradossalmente in questo caso l’apparato anti popolare ha avuto perfettamente ragione. Perché l’inquilino del Quirinale aveva ampiamente sottovalutato la forza della reazione sui social al suo intervento contro il governo giallo verde.
Mattarella sapeva di poter contare sul sostegno incondizionato delle reti Rai e Mediaset, su quasi tutti i quotidiani con l’eccezione del Fatto. E con questi appoggi di regime si è sentito con le spalle coperte.
Invece i social si sono scatenati. E al di là di rare minacce stupide e prive di senso (falli da frustrazione verrebbero definiti in ambito calcistico), la reazione è stata contrassegnata da rabbia, disgusto, indignazione, ironia.
Al Quirinale hanno dovuto prendere atto che i plebei disprezzati da Scalfari sono proprio tanti. Molti di più rispetto ai raffinati lettori dei giornali di regime. E l’imbarazzo è diventato evidente.
Certo, non si rischia la guerra civile in un Paese come l’Italia dove le pecore hanno preso il posto delle aquile e dei leoni. Ma il disgusto, il disprezzo, la rabbia non sono l’ideale per imporre le misure sognate dai mercati e dalla Commissione europea per massacrare gli italiani come i greci.
Adesso toccherà all’inadeguato presidente individuare una via d’uscita. In attesa di dimissioni per un briciolo di decenza dopo il caos provocato.
Cottarelli vittima di un presidente inadeguato
Carlo Cottarelli, l’uomo scelto da Sergio Mattarella per tranquillizzare i mercati, veri padroni di un ex popolo ed ex nazione, deve avere un sosia e pure un omonimo. Perché tal Cottarelli Carlo era intervenuto pochi mesi orsono ad un convegno organizzato dalla leghista Gianna Gancia e, in quella occasione, il Carlo Cottarelli bis non era parso per nulla contrario alle proposte del centro destra a proposito di flat tax.
Probabilmente, però, Mattarella non lo sapeva o, comunque, non lo aveva capito.
Il caos cosmico (e comico, se visto da lontano) provocato dal presidente non dovrebbe portare alla messa in stato d’accusa per tradimento ma, più semplicemente, alle dimissioni per manifesta incapacità o almeno inadeguatezza.
Invece si è preferito sguinzagliare uomini dello Stato, pagati dai cittadini, per valutare se qualcuno avesse avuto l’ardire di offendere il sant’uomo del Quirinale.
Nel frattempo in Italia sbarcavano migliaia di clandestini, ma l’emergenza era l’offensiva sui social.
Paradossalmente in questo caso l’apparato anti popolare ha avuto perfettamente ragione. Perché l’inquilino del Quirinale aveva ampiamente sottovalutato la forza della reazione sui social al suo intervento contro il governo giallo verde.
Mattarella sapeva di poter contare sul sostegno incondizionato delle reti Rai e Mediaset, su quasi tutti i quotidiani con l’eccezione del Fatto. E con questi appoggi di regime si è sentito con le spalle coperte.
Invece i social si sono scatenati. E al di là di rare minacce stupide e prive di senso (falli da frustrazione verrebbero definiti in ambito calcistico), la reazione è stata contrassegnata da rabbia, disgusto, indignazione, ironia.
Al Quirinale hanno dovuto prendere atto che i plebei disprezzati da Scalfari sono proprio tanti. Molti di più rispetto ai raffinati lettori dei giornali di regime. E l’imbarazzo è diventato evidente.
Certo, non si rischia la guerra civile in un Paese come l’Italia dove le pecore hanno preso il posto delle aquile e dei leoni. Ma il disgusto, il disprezzo, la rabbia non sono l’ideale per imporre le misure sognate dai mercati e dalla Commissione europea per massacrare gli italiani come i greci.
Adesso toccherà all’inadeguato presidente individuare una via d’uscita. In attesa di dimissioni per un briciolo di decenza dopo il caos provocato.
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Augusto Grandi
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