Li hanno definiti “non luoghi”. Eppure i centri commerciali continuano a richiamare un pubblico variegato e numeroso, impegnato non solo a fare acquisti più o meno compulsivi.
Per i sostenitori di questi agglomerati commerciali si tratta di una nuova forma della piazza di un tempo. Ma è evidente che chi si lancia in considerazioni di questo genere non ha mai vissuto in una piazza d’antan. O anche in una via, in una strada.
Luoghi aperti, fisicamente e psicologicamente. Le “immense compagnie” cantate da Max Pezzali non nascevano “immense”, ma crescevano di numero aggregando progressivamente ragazzi e ragazze di passaggio per la piazza, per la strada.
Erano luoghi di incontro e di apertura, non di conferma del gruppo esistente. Erano luoghi di amori, di litigi, di confronti veri ed aspri sulla politica, sulla società, sulla cultura, sulla vita che i ragazzi stavano per affrontare.
Il centro commerciale non è un polo di aggregazione culturale, politico, filosofico. Nel migliore dei casi è una manifestazione del disagio giovanile e non solo giovanile. In passato gli anziani lo utilizzavano, in estate, per godere del fresco dell’aria condizionata. Ora si è trasformato nel non luogo dove si ciondola osservando le vetrine, sprecando i soldi di papà e mammà per spese inutili o comunque superflue. O dove li sprecano proprio mammà e papà, in una confusione di ruoli che porta la mamma di un ricercatore ultra trentenne a scrivere una lettera per difendere il bambino delatore.
Indubbiamente la piazza e la strada favorivano una crescita più rapida, nessun trentenne sarebbe andato da mammà a piangere ed a farsi difendere, i delatori finivano immediatamente espulsi dal gruppo. Si imparava a vivere ed a comportarsi.
Ed i supermercati rappresentavano solo il luogo dove ci si recava per acquisti già stabiliti. Toccata e fuga.
Ora rappresentano il trionfo del modello americano di consumismo fine a se stesso. Si vive nei centri commerciali come nel ventre della balena dell’acquisto inutile.
Ma i soldi sprecati per bighellonare tra offerte continue sono soldi (e tempi) sottratti alla vita vera, ad una vacanza, ad un viaggio. Ai risparmi per creare le prime basi di una vita a due. Sempre che mammà sia d’accordo e non scriva una lettera di protesta alla famiglia del futuro partner.
Centri commerciali, non luoghi per drenare risparmi e pensieri
Li hanno definiti “non luoghi”. Eppure i centri commerciali continuano a richiamare un pubblico variegato e numeroso, impegnato non solo a fare acquisti più o meno compulsivi.
Per i sostenitori di questi agglomerati commerciali si tratta di una nuova forma della piazza di un tempo. Ma è evidente che chi si lancia in considerazioni di questo genere non ha mai vissuto in una piazza d’antan. O anche in una via, in una strada.
Luoghi aperti, fisicamente e psicologicamente. Le “immense compagnie” cantate da Max Pezzali non nascevano “immense”, ma crescevano di numero aggregando progressivamente ragazzi e ragazze di passaggio per la piazza, per la strada.
Erano luoghi di incontro e di apertura, non di conferma del gruppo esistente. Erano luoghi di amori, di litigi, di confronti veri ed aspri sulla politica, sulla società, sulla cultura, sulla vita che i ragazzi stavano per affrontare.
Il centro commerciale non è un polo di aggregazione culturale, politico, filosofico. Nel migliore dei casi è una manifestazione del disagio giovanile e non solo giovanile. In passato gli anziani lo utilizzavano, in estate, per godere del fresco dell’aria condizionata. Ora si è trasformato nel non luogo dove si ciondola osservando le vetrine, sprecando i soldi di papà e mammà per spese inutili o comunque superflue. O dove li sprecano proprio mammà e papà, in una confusione di ruoli che porta la mamma di un ricercatore ultra trentenne a scrivere una lettera per difendere il bambino delatore.
Indubbiamente la piazza e la strada favorivano una crescita più rapida, nessun trentenne sarebbe andato da mammà a piangere ed a farsi difendere, i delatori finivano immediatamente espulsi dal gruppo. Si imparava a vivere ed a comportarsi.
Ed i supermercati rappresentavano solo il luogo dove ci si recava per acquisti già stabiliti. Toccata e fuga.
Ora rappresentano il trionfo del modello americano di consumismo fine a se stesso. Si vive nei centri commerciali come nel ventre della balena dell’acquisto inutile.
Ma i soldi sprecati per bighellonare tra offerte continue sono soldi (e tempi) sottratti alla vita vera, ad una vacanza, ad un viaggio. Ai risparmi per creare le prime basi di una vita a due. Sempre che mammà sia d’accordo e non scriva una lettera di protesta alla famiglia del futuro partner.
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Augusto Grandi
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