Donald Trump prosegue nella sua guerra mondiale sui dazi, per colpire non solo i Paesi accusati di fare dumping ma anche e soprattutto quei mercati che sono più concorrenziali con gli Stati Uniti sul piano della qualità, dell’innovazione, dello stile. Ma se gli Usa scatenano l’offensiva, non è detto che la guerra si espanda.
Anzi, si possono verificare casi opposti. Perché il mondo va avanti e commercia anche a prescindere dagli Stati Uniti.
Così Confagricoltura ricorda che, dopo oltre 16 anni, la Cina ha rimosso il bando sulla carne bovina italiana. A seguito di questo sviluppo le autorità dei due Paesi potranno concordare un protocollo sui requisiti sanitari per l’esportazione verso la Cina di carne disossata di bovini con meno di 30 mesi.
Il Ministero dell’Agricoltura cinese e AQSIQ hanno anche comunicato la rimozione del bando sul seme bovino italiano per il virus di Schmallenberg imposto nel 2012.
Ovviamente non sono sufficienti questi pur importanti passi avanti. Perché, proprio il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, denuncia che l’Italia dei campi è penalizzata dalla carenza di infrastrutture. A queste vanno aggiunte le difficoltà nell’ambito della logistica, ma anche i ritardi del mondo agricolo nell’adattarsi alle tecnologie digitali.
In fondo la sfida dei dazi di Trump può diventare un incentivo a migliorare tutta la filiera produttiva, non soltanto quella agricola. Obbliga a diventare più competitivi, a studiare nuovi mercati, a confrontarsi con competitori di altri Paesi.
Perché uno dei grandi limiti delle esportazioni italiane è rappresentato dalla scarsa propensione ad innovare i mercati. Sempre e soltanto i mercati dell’Unione europea, meglio ancora se quelli confinanti, e poi gli Stati Uniti. In pochi sembrano essersi accorti, ad esempio, delle enormi opportunità rappresentate da Paesi come l’Indonesia o il Messico, per non parlare di sempre più numerosi mercati africani. Gli stessi, magari, da cui partono i migranti economici e questo dovrebbe far riflettere chi continua a raccontare menzogne sulla povertà di Paesi come la Nigeria.
Ma è più facile credere o fingere di credere alle narrazioni di comodo piuttosto di informarsi, imparare e poi andare a scoprire questi nuovi mercati. Meglio continuare a credere che l’unico mercato sia quello degli Stati Uniti.
Ai dazi di Trump si risponde con nuovi mercati
Donald Trump prosegue nella sua guerra mondiale sui dazi, per colpire non solo i Paesi accusati di fare dumping ma anche e soprattutto quei mercati che sono più concorrenziali con gli Stati Uniti sul piano della qualità, dell’innovazione, dello stile. Ma se gli Usa scatenano l’offensiva, non è detto che la guerra si espanda.
Anzi, si possono verificare casi opposti. Perché il mondo va avanti e commercia anche a prescindere dagli Stati Uniti.
Così Confagricoltura ricorda che, dopo oltre 16 anni, la Cina ha rimosso il bando sulla carne bovina italiana. A seguito di questo sviluppo le autorità dei due Paesi potranno concordare un protocollo sui requisiti sanitari per l’esportazione verso la Cina di carne disossata di bovini con meno di 30 mesi.
Il Ministero dell’Agricoltura cinese e AQSIQ hanno anche comunicato la rimozione del bando sul seme bovino italiano per il virus di Schmallenberg imposto nel 2012.
Ovviamente non sono sufficienti questi pur importanti passi avanti. Perché, proprio il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, denuncia che l’Italia dei campi è penalizzata dalla carenza di infrastrutture. A queste vanno aggiunte le difficoltà nell’ambito della logistica, ma anche i ritardi del mondo agricolo nell’adattarsi alle tecnologie digitali.
In fondo la sfida dei dazi di Trump può diventare un incentivo a migliorare tutta la filiera produttiva, non soltanto quella agricola. Obbliga a diventare più competitivi, a studiare nuovi mercati, a confrontarsi con competitori di altri Paesi.
Perché uno dei grandi limiti delle esportazioni italiane è rappresentato dalla scarsa propensione ad innovare i mercati. Sempre e soltanto i mercati dell’Unione europea, meglio ancora se quelli confinanti, e poi gli Stati Uniti. In pochi sembrano essersi accorti, ad esempio, delle enormi opportunità rappresentate da Paesi come l’Indonesia o il Messico, per non parlare di sempre più numerosi mercati africani. Gli stessi, magari, da cui partono i migranti economici e questo dovrebbe far riflettere chi continua a raccontare menzogne sulla povertà di Paesi come la Nigeria.
Ma è più facile credere o fingere di credere alle narrazioni di comodo piuttosto di informarsi, imparare e poi andare a scoprire questi nuovi mercati. Meglio continuare a credere che l’unico mercato sia quello degli Stati Uniti.
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Augusto Grandi
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