Il Portogallo? Sta diventando troppo caro. La Bulgaria? Non offre ancora standard adeguati per un ceto medio italiano. La crisi che seguirà la disastrosa gestione dell’emergenza virus in Italia sta spingendo una parte della popolazione a valutare alternative rispetto alla vita attuale nelle grandi città.
Le prospettive non sono certo entusiasmanti. I soldi distribuiti a pioggia da un governo di incapaci dovranno essere restituiti, impoverendo il Paese. Il mercato domestico si ridurrà, provocando un calo dell’occupazione. E legioni di disoccupati dovranno essere mantenuti, rubando i soldi ad un ceto medio che dovrà ridurre i consumi. Un circolo vizioso da cui sarà difficile uscire. Con il rischio di un drammatico incremento della rabbia, della violenza, della criminalità.
Chi può sta dunque pensando ad una alternativa. Abbandonando le città che diventeranno meno vivibili, meno attraenti. Per andare dove? La scelta più logica sarebbe quella di un trasferimento nelle località dove sono concentrate le seconde case. Luoghi ameni, spesso immersi nella natura. Ma con servizi che raramente sono adatti alle attività lavorative, con collegamenti internet ridicoli, con trasporti, scuole, sanità per nulla in linea con le esigenze. E non sempre i residenti, gli stessi che si lamentano dello spopolamento dei territori marginali, appaiono entusiasti all’idea di accogliere nuovi abitanti al di fuori di poche settimane di vacanza.
Gli spazi abbandonati non mancano, in Italia. Le campagne sono costellate da vecchi edifici in rovina. Terreni incolti, spazi sottoutilizzati. Su tutto questo occorrerebbe investire. Creando una nuova società, con maggiori distanze fisiche ma solo fisiche. Recuperando rapporti umani, con nuovi modelli di lavoro, di sviluppo, di economia. La vicinanza fisica delle grandi città non è più indispensabile, le grandi fabbriche sono – tranne sempre più rare eccezioni – un retaggio del passato.
Ma il rapporto tra residenti e nuovi arrivati non sarà facile. Non tutti sono pronti ad accettare l’idea di confrontarsi con chi arriva per svolgere attività considerate di maggior prestigio. Perché chi può lavorare da remoto è quasi sempre un professionista affermato nei più disparati settori. Magari con retribuzioni inferiori rispetto a chi svolge un lavoro legato al turismo o all’edilizia, ma con un prestigio sociale considerato superiore.
L’alternativa? Una nuova emigrazione. Non più la fuga di giovani cervelli o di anziani pensionati. Ma quella di una forza lavoro che, andandosene, impoverirebbe non poco il Paese in termini di capacità, competenze, professionalità. Per andare a creare ricchezza e sviluppo in Paesi come la Tunisia o il Marocco. Sufficientemente vicini, poco costosi, con prospettive di crescita, con opportunità per chi ha voglia di mettersi in gioco.
Città addio. Ma chi vuole il ceto medio in cerca di futuro e ricco di competenze?
Il Portogallo? Sta diventando troppo caro. La Bulgaria? Non offre ancora standard adeguati per un ceto medio italiano. La crisi che seguirà la disastrosa gestione dell’emergenza virus in Italia sta spingendo una parte della popolazione a valutare alternative rispetto alla vita attuale nelle grandi città.
Le prospettive non sono certo entusiasmanti. I soldi distribuiti a pioggia da un governo di incapaci dovranno essere restituiti, impoverendo il Paese. Il mercato domestico si ridurrà, provocando un calo dell’occupazione. E legioni di disoccupati dovranno essere mantenuti, rubando i soldi ad un ceto medio che dovrà ridurre i consumi. Un circolo vizioso da cui sarà difficile uscire. Con il rischio di un drammatico incremento della rabbia, della violenza, della criminalità.
Chi può sta dunque pensando ad una alternativa. Abbandonando le città che diventeranno meno vivibili, meno attraenti. Per andare dove? La scelta più logica sarebbe quella di un trasferimento nelle località dove sono concentrate le seconde case. Luoghi ameni, spesso immersi nella natura. Ma con servizi che raramente sono adatti alle attività lavorative, con collegamenti internet ridicoli, con trasporti, scuole, sanità per nulla in linea con le esigenze. E non sempre i residenti, gli stessi che si lamentano dello spopolamento dei territori marginali, appaiono entusiasti all’idea di accogliere nuovi abitanti al di fuori di poche settimane di vacanza.
Gli spazi abbandonati non mancano, in Italia. Le campagne sono costellate da vecchi edifici in rovina. Terreni incolti, spazi sottoutilizzati. Su tutto questo occorrerebbe investire. Creando una nuova società, con maggiori distanze fisiche ma solo fisiche. Recuperando rapporti umani, con nuovi modelli di lavoro, di sviluppo, di economia. La vicinanza fisica delle grandi città non è più indispensabile, le grandi fabbriche sono – tranne sempre più rare eccezioni – un retaggio del passato.
Ma il rapporto tra residenti e nuovi arrivati non sarà facile. Non tutti sono pronti ad accettare l’idea di confrontarsi con chi arriva per svolgere attività considerate di maggior prestigio. Perché chi può lavorare da remoto è quasi sempre un professionista affermato nei più disparati settori. Magari con retribuzioni inferiori rispetto a chi svolge un lavoro legato al turismo o all’edilizia, ma con un prestigio sociale considerato superiore.
L’alternativa? Una nuova emigrazione. Non più la fuga di giovani cervelli o di anziani pensionati. Ma quella di una forza lavoro che, andandosene, impoverirebbe non poco il Paese in termini di capacità, competenze, professionalità. Per andare a creare ricchezza e sviluppo in Paesi come la Tunisia o il Marocco. Sufficientemente vicini, poco costosi, con prospettive di crescita, con opportunità per chi ha voglia di mettersi in gioco.
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Augusto Grandi
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