Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi quella papale.
I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava questo significato mondiale.
Così scriveva Fëdor Dostoevskij. Che, per sua fortuna, non ha avuto modo di conoscere Azzolina, Boccia e gli altri dittatorelli che hanno trasformato l’Italia nello Stato Libero di Bananas. Una mera espressione geografica, come potrebbe ripetere Metternich. Il politico austriaco avrebbe da divertirsi osservando il Paese a sud delle Alpi trasformato in un gregge belante da cui escono alcuni non in nome di una sacrosanta libertà ma di una banale tendenza all’indisciplina.
Ciascun per sè e neppure un Dio per tutti, da quando monsu Bergoglio ha cancellato il divino per dedicarsi alla sociologia di basso livello. Non funziona neppure il sogno di una Padania indipendente, di macroregioni, di aggregazioni, di semplice autonomia regionale. “Vogliamo l’indipendenza”, tuonano sulle Alpi. Poi frignano se un turista della medesima regione osa salire in montagna, a casa propria, perché rischia di contagiare i poveri valligiani. Che, ovviamente, hanno venduto al turista quella casa e quel terreno a peso d’oro, ma ora non vogliono l’intruso. Può arrivare solo se gli ospedali locali hanno un numero di posti in terapia intensiva pari al numero dei residenti e dei turisti possibili.
Difficile conquistare l’indipendenza se si è terrorizzati da un virus. Difficile conquistare qualsiasi cosa. “L’indipendenza ce la devono dare!”. E se non la regalano? Mettiamo una faccina triste su Facebook, i più coraggiosi anche una faccina arrabbiata. La rabbia è giustificata dai provvedimenti di Boccia, dai suoi atteggiamenti ottusi e stupidamente provocatori. Ma la paura è più forte della rabbia.
Non va meglio al Sud, dove si guarda come nemici i propri compaesani che tornano a casa propria dopo un soggiorno al Nord. Magari perché al Nord lavoravano o studiavano. Untori, invasori, irresponsabili.
Ciascuno deve stare a casa propria. Addio principati, ducati, contee. È l’espressione geografica dei Comuni. Mancano, però, le grandi famiglie di mecenati. Manca chi investe per abbellire la propria città, il proprio Comune. Non si investe e non si deve lavorare. Non è chiaro chi debba produrre il cibo, chi debba trasportarlo nei Comuni, chi debba costruire ed aggiustare i mezzi per trasportare questo cibo. Chi debba pagare per tutto questo.
“Uomini siate e non pecore matte”.. Ma nell’espressione geografica che piace ad Azzolina non c’è posto per Dante..
Boccia cucù, l’Italia non c’è più
Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi quella papale.
I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava questo significato mondiale.
Così scriveva Fëdor Dostoevskij. Che, per sua fortuna, non ha avuto modo di conoscere Azzolina, Boccia e gli altri dittatorelli che hanno trasformato l’Italia nello Stato Libero di Bananas. Una mera espressione geografica, come potrebbe ripetere Metternich. Il politico austriaco avrebbe da divertirsi osservando il Paese a sud delle Alpi trasformato in un gregge belante da cui escono alcuni non in nome di una sacrosanta libertà ma di una banale tendenza all’indisciplina.
Ciascun per sè e neppure un Dio per tutti, da quando monsu Bergoglio ha cancellato il divino per dedicarsi alla sociologia di basso livello. Non funziona neppure il sogno di una Padania indipendente, di macroregioni, di aggregazioni, di semplice autonomia regionale. “Vogliamo l’indipendenza”, tuonano sulle Alpi. Poi frignano se un turista della medesima regione osa salire in montagna, a casa propria, perché rischia di contagiare i poveri valligiani. Che, ovviamente, hanno venduto al turista quella casa e quel terreno a peso d’oro, ma ora non vogliono l’intruso. Può arrivare solo se gli ospedali locali hanno un numero di posti in terapia intensiva pari al numero dei residenti e dei turisti possibili.
Difficile conquistare l’indipendenza se si è terrorizzati da un virus. Difficile conquistare qualsiasi cosa. “L’indipendenza ce la devono dare!”. E se non la regalano? Mettiamo una faccina triste su Facebook, i più coraggiosi anche una faccina arrabbiata. La rabbia è giustificata dai provvedimenti di Boccia, dai suoi atteggiamenti ottusi e stupidamente provocatori. Ma la paura è più forte della rabbia.
Non va meglio al Sud, dove si guarda come nemici i propri compaesani che tornano a casa propria dopo un soggiorno al Nord. Magari perché al Nord lavoravano o studiavano. Untori, invasori, irresponsabili.
Ciascuno deve stare a casa propria. Addio principati, ducati, contee. È l’espressione geografica dei Comuni. Mancano, però, le grandi famiglie di mecenati. Manca chi investe per abbellire la propria città, il proprio Comune. Non si investe e non si deve lavorare. Non è chiaro chi debba produrre il cibo, chi debba trasportarlo nei Comuni, chi debba costruire ed aggiustare i mezzi per trasportare questo cibo. Chi debba pagare per tutto questo.
“Uomini siate e non pecore matte”.. Ma nell’espressione geografica che piace ad Azzolina non c’è posto per Dante..
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Augusto Grandi
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