Carlo Bonomi, scelto come prossimo presidente di Confindustria ma non ancora alla guida della confederazione, ha chiarito subito che tutto deve cambiare. Suscitando le proteste dei seguaci di Vincenzo Boccia – a partire da Licia Mattioli, avversaria di Bonomi, pesantemente sconfitta – che vorrebbero continuità, magari nell’assegnazione delle poltrone.
Cambiare, dunque, ma non si sa ancora come. Bonomi ha protestato contro il clima anti industriale che si respira in Italia. Verissimo, ma un briciolo di autocritica non farebbe male. Difficile pensare ad un clima diverso quando sono stati gli industriali a battersi per affidare il governo al grigiocrate Monti ed alla sua banda. Ce lo chiedeva l’Europa e ce lo imponevano gli industriali. Qualcuno ricorda il famigerato “Fate presto”?
Difficile pensare che le vittime della Fornero o dei tagli alla sanità siano ora tanto grati a Confindustria. E le retribuzioni da fame? E la precarietà come base per ogni contratto? Il tutto accompagnato da gestioni fallimentari delle imprese, nell’errata convinzione che lo sfruttamento dei lavoratori aumentasse la competitività.
Bonomi avrà voglia di studiare i dati sui bassissimi livelli di investimenti? Vuoi competere con tedeschi, americani, giapponesi, francesi, cinesi e vuoi farlo con macchinari obsoleti? Con un’organizzazione del lavoro ferma a 40 anni prima? Con una politica di export che non va oltre i Paesi confinanti?
Sì, bisogna cambiare. Il mondo punta sull’economia circolare e le indagini condotte tra gli imprenditori italiani evidenziano che la maggioranza non sa neppure di cosa si tratti. Figuriamoci avviare un cambiamento in questa direzione. D’altronde non è che fosse andata meglio con l’Industria 4.0. Buona parte delle aziende aveva dichiarato di non essere interessata e le altre avevano spiegato di essere disponibili al cambiamento ma solo nel caso di finanziamento pubblico. Stile Fiat sempre e comunque: socializzare le perdite e privatizzare i profitti.
Sì, Bonomi, è ora di cambiare. Ricordando agli imprenditori che, nel resto del mondo, esiste il rischio d’impresa. Se no ci si trasforma in manager pubblici, con stipendio fisso. Ricordando agli industriali che i mercati non finiscono con Francia, Germania e Stati Uniti. Che i prodotti non basta fabbricarli ma bisogna anche venderli e, per farlo, magari bisogna persino investire per promuoverli. Che la coscienza ambientale è cresciuta e non si può più andare avanti con il ricatto: “o la salute o il lavoro”.
È ora di rendersi conto che i sindacati hanno perso la già scarsa credibilità rimasta. Privi di idee, di proposte; patetici persino come cinghia di trasmissione del Pd. Inutili come l’anpi. Ma se i sindacati sono una realtà inutile ed autoreferenziale, i lavoratori continuano ad esistere e ad avere difficoltà di rapporto con aziende che non riconoscono il merito, i diritti minimi, la dignità di una retribuzione adeguata. Esistono dipendenti stupidi, incapaci, fannulloni, maleducati, approfittatori. Ma non possono essere utilizzati come alibi per penalizzare tutti gli altri.
Le assunzioni sono ormai personali, dirette. Se un industriale sceglie il lavoratore sbagliato, la responsabilità è sua. È lui che non sa valutare le persone (e non è proprio un segnale incoraggiante per le capacità complessive nella gestione dell’azienda). Però rivolgersi a chi ha capacità e competenze rappresenta un costo, perché gli investimenti sono sempre un costo per chi non vuole spendere. Perché pagare 100 un manager, un tecnico, un professionista di qualche settore, se si può pagare la metà uno privo di competenze ma che può occupare la medesima posizione?
Sì, Bonomi, bisogna cambiare. Soprattutto queste mentalità che hanno portato solo all’indebolimento del sistema industriale. Bisogna cambiare recuperando la lezione di Adriano Olivetti e non quella di Carlo De Benedetti.
Bonomi: ora si cambia. Giusto. Purché seguendo Olivetti e non De Benedetti
Carlo Bonomi, scelto come prossimo presidente di Confindustria ma non ancora alla guida della confederazione, ha chiarito subito che tutto deve cambiare. Suscitando le proteste dei seguaci di Vincenzo Boccia – a partire da Licia Mattioli, avversaria di Bonomi, pesantemente sconfitta – che vorrebbero continuità, magari nell’assegnazione delle poltrone.
Cambiare, dunque, ma non si sa ancora come. Bonomi ha protestato contro il clima anti industriale che si respira in Italia. Verissimo, ma un briciolo di autocritica non farebbe male. Difficile pensare ad un clima diverso quando sono stati gli industriali a battersi per affidare il governo al grigiocrate Monti ed alla sua banda. Ce lo chiedeva l’Europa e ce lo imponevano gli industriali. Qualcuno ricorda il famigerato “Fate presto”?
Difficile pensare che le vittime della Fornero o dei tagli alla sanità siano ora tanto grati a Confindustria. E le retribuzioni da fame? E la precarietà come base per ogni contratto? Il tutto accompagnato da gestioni fallimentari delle imprese, nell’errata convinzione che lo sfruttamento dei lavoratori aumentasse la competitività.
Bonomi avrà voglia di studiare i dati sui bassissimi livelli di investimenti? Vuoi competere con tedeschi, americani, giapponesi, francesi, cinesi e vuoi farlo con macchinari obsoleti? Con un’organizzazione del lavoro ferma a 40 anni prima? Con una politica di export che non va oltre i Paesi confinanti?
Sì, bisogna cambiare. Il mondo punta sull’economia circolare e le indagini condotte tra gli imprenditori italiani evidenziano che la maggioranza non sa neppure di cosa si tratti. Figuriamoci avviare un cambiamento in questa direzione. D’altronde non è che fosse andata meglio con l’Industria 4.0. Buona parte delle aziende aveva dichiarato di non essere interessata e le altre avevano spiegato di essere disponibili al cambiamento ma solo nel caso di finanziamento pubblico. Stile Fiat sempre e comunque: socializzare le perdite e privatizzare i profitti.
Sì, Bonomi, è ora di cambiare. Ricordando agli imprenditori che, nel resto del mondo, esiste il rischio d’impresa. Se no ci si trasforma in manager pubblici, con stipendio fisso. Ricordando agli industriali che i mercati non finiscono con Francia, Germania e Stati Uniti. Che i prodotti non basta fabbricarli ma bisogna anche venderli e, per farlo, magari bisogna persino investire per promuoverli. Che la coscienza ambientale è cresciuta e non si può più andare avanti con il ricatto: “o la salute o il lavoro”.
È ora di rendersi conto che i sindacati hanno perso la già scarsa credibilità rimasta. Privi di idee, di proposte; patetici persino come cinghia di trasmissione del Pd. Inutili come l’anpi. Ma se i sindacati sono una realtà inutile ed autoreferenziale, i lavoratori continuano ad esistere e ad avere difficoltà di rapporto con aziende che non riconoscono il merito, i diritti minimi, la dignità di una retribuzione adeguata. Esistono dipendenti stupidi, incapaci, fannulloni, maleducati, approfittatori. Ma non possono essere utilizzati come alibi per penalizzare tutti gli altri.
Le assunzioni sono ormai personali, dirette. Se un industriale sceglie il lavoratore sbagliato, la responsabilità è sua. È lui che non sa valutare le persone (e non è proprio un segnale incoraggiante per le capacità complessive nella gestione dell’azienda). Però rivolgersi a chi ha capacità e competenze rappresenta un costo, perché gli investimenti sono sempre un costo per chi non vuole spendere. Perché pagare 100 un manager, un tecnico, un professionista di qualche settore, se si può pagare la metà uno privo di competenze ma che può occupare la medesima posizione?
Sì, Bonomi, bisogna cambiare. Soprattutto queste mentalità che hanno portato solo all’indebolimento del sistema industriale. Bisogna cambiare recuperando la lezione di Adriano Olivetti e non quella di Carlo De Benedetti.
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Augusto Grandi
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