Secondo alcune indiscrezioni, non confermate, pare che la Cina si trovi al di là del Grande raccordo anulare di Roma.
Dunque al di fuori delle competenze della Sorella della Garbatella. Che, però, si sente in dovere di commentare il prossimo accordo commerciale tra Italia e Cina.
Un accordo positivo, secondo lei, se favorirà le esportazioni italiane in Cina e negativo se saranno avvantaggiate le importazioni cinesi in Italia. Peccato che il programma di Arbore, Quelli della notte, sia ormai lontano, se no la Sorella della Garbatella avrebbe potuto sostituire Catalano e le sue ovvietà. Meglio vincere la Champions che retrocedere innserie B; meglio vincere al Superenalotto che spaccarsi un braccio.
Sfugge, alla Sorella della Garbatella, che non sono i binari di una ferrovia a determinare il senso di marcia delle merci. Se il livello retributivo dei lavoratori italiani non consente di acquistare le produzioni nazionali, è inevitabile che si comprino prodotti cinesi. Se i vini italiani, per l’ottusità dei produttori nazionali convinti che il marketing sia uno spreco, vengono surclassati dai vini francesi, la colpa non è dei binari lungo la via della Seta.
Occorre capire quali sono gli obiettivi e quali sono gli strumenti per realizzarli. Inutile, e stupido, illudersi di competere con la Cina sul piano dei costi. Non è solo un problema di sfruttamento o di bassi salari (se i laureati italiani fuggono anche in Cina non è certo per guadagnare di meno) ma di economie di scala. Dunque occorre puntare sulla qualità assoluta. Che, contrariamente a quanto pensano i nuovi partner della Sorella della Garbatella, non si ottiene attraverso lo sfruttamento di lavoratori precari.
La qualità, in Italia come in Cina, si paga. Ed è profondamente stupido arginare la concorrenza cinese non aumentando salari e qualità, ma tentando di imporre inutili freni alle importazioni. Un lavoratore precario acquisterà solo prodotti cinesi di pessima qualità e di prezzo ridotto, consapevole che il prodotto avrà vita breve proprio come il suo contratto di lavoro.
Allora bisognerebbe spiegare alla Sorella della Garbatella, nella sua nuova veste da conservatrice liberale, che il suo adorato mercato si basa sulla concorrenza e se le aziende predatrici italiane non sanno competere (non sanno, non è che non possano), non serve a nulla ostacolare una ferrovia od un porto. Si deve aumentare la competitività italiana, prendendo a calci negli zebedei gli sfruttatori che incassano denaro pubblico, più che frenare la concorrenza internazionale. Dovrebbe capire, la Sorella della Garbatella, che con gli 830 euro al mese millantati dalla Confindustria di Boccia, gli italiani possono acquistare solo prodotti cinesi.
È sui salari, sui contratti che bisogna intervenire, non sulle ferrovie.
La Sorella della Garbatella non lo sa, ma la Cina è oltre il Grande raccordo anulare
Secondo alcune indiscrezioni, non confermate, pare che la Cina si trovi al di là del Grande raccordo anulare di Roma.
Dunque al di fuori delle competenze della Sorella della Garbatella. Che, però, si sente in dovere di commentare il prossimo accordo commerciale tra Italia e Cina.
Un accordo positivo, secondo lei, se favorirà le esportazioni italiane in Cina e negativo se saranno avvantaggiate le importazioni cinesi in Italia. Peccato che il programma di Arbore, Quelli della notte, sia ormai lontano, se no la Sorella della Garbatella avrebbe potuto sostituire Catalano e le sue ovvietà. Meglio vincere la Champions che retrocedere innserie B; meglio vincere al Superenalotto che spaccarsi un braccio.
Sfugge, alla Sorella della Garbatella, che non sono i binari di una ferrovia a determinare il senso di marcia delle merci. Se il livello retributivo dei lavoratori italiani non consente di acquistare le produzioni nazionali, è inevitabile che si comprino prodotti cinesi. Se i vini italiani, per l’ottusità dei produttori nazionali convinti che il marketing sia uno spreco, vengono surclassati dai vini francesi, la colpa non è dei binari lungo la via della Seta.
Occorre capire quali sono gli obiettivi e quali sono gli strumenti per realizzarli. Inutile, e stupido, illudersi di competere con la Cina sul piano dei costi. Non è solo un problema di sfruttamento o di bassi salari (se i laureati italiani fuggono anche in Cina non è certo per guadagnare di meno) ma di economie di scala. Dunque occorre puntare sulla qualità assoluta. Che, contrariamente a quanto pensano i nuovi partner della Sorella della Garbatella, non si ottiene attraverso lo sfruttamento di lavoratori precari.
La qualità, in Italia come in Cina, si paga. Ed è profondamente stupido arginare la concorrenza cinese non aumentando salari e qualità, ma tentando di imporre inutili freni alle importazioni. Un lavoratore precario acquisterà solo prodotti cinesi di pessima qualità e di prezzo ridotto, consapevole che il prodotto avrà vita breve proprio come il suo contratto di lavoro.
Allora bisognerebbe spiegare alla Sorella della Garbatella, nella sua nuova veste da conservatrice liberale, che il suo adorato mercato si basa sulla concorrenza e se le aziende predatrici italiane non sanno competere (non sanno, non è che non possano), non serve a nulla ostacolare una ferrovia od un porto. Si deve aumentare la competitività italiana, prendendo a calci negli zebedei gli sfruttatori che incassano denaro pubblico, più che frenare la concorrenza internazionale. Dovrebbe capire, la Sorella della Garbatella, che con gli 830 euro al mese millantati dalla Confindustria di Boccia, gli italiani possono acquistare solo prodotti cinesi.
È sui salari, sui contratti che bisogna intervenire, non sulle ferrovie.
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Augusto Grandi
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